ARTICOLO: EYE CONTACT, L'ARTE DI FEDERICA DI PIETRANTONIO

Daniela Cotimbo su Federica Di Pietrantonio

In but I wanna keep my head above water, Federica di Pietrantonio utilizza gli scenari virtuali di The Sims per inscenare un’opera ambientata in un bagno in cui un avatar digitale è intento ad arginare una perdita d’acqua. Già nel titolo sembrano essere evocati alcuni degli elementi chiave del video, la dimensione di solitudine (il rituale notturno) in cui il protagonista è immerso, la ricerca, allusivamente erotica, di qualcosa in grado di andare oltre l’algida, incorporea, dimensione del virtuale.

Protagonista del video è un avatar dalle sembianze androgine, corpo maschile, mutandine di pizzo, orecchie da volpe. Proprio quest’ultimo dettaglio rimanda ad uno degli aspetti ricorrenti nei lavori dell’artista, l’esplorazione e il recupero di immaginari derivanti dalle sottoculture emerse grazie al potenziale connettivo ed estensivo della rete; nel caso specifico quella dei furry, gamer, role player, artisti, che a partire dagli anni Ottanta hanno adottato l’identificazione con il mondo animale — in particolare il travestimento — come pratica di autodeterminazione identitaria.

Questo avatar, ricorrente nelle opere della Di Pietrantonio, qui ripete compulsivamente l’azione di arginare una perdita originata direttamente da un wc. La reiterazione dei movimenti così come l’espediente, usato a più riprese, di non mostrare la scena nella sua interezza fanno sì che essa sembri riferirsi più ad un momento privato di autoerotismo. Questa sottaciuta dimensione è evocata dal titolo stesso, tratto da una traccia musicale dell’artista Only fire, che presenta espliciti riferimenti di natura sessuale. 

Il virtuale diventa allora in quest’opera il luogo di una esplorazione dell’identità orientato dalla ricerca del piacere, un obiettivo che non trovando un riscontro diretto nelle possibilità del corpo, si apre ad immaginari ibridi, cercando di sfondare la barriera dell’impersonalità dello schermo. Il protagonista del video incarna questa ricerca attraverso le pose, spesso restituite nella loro iconicità, le movenze e le espressioni. Di Pietrantonio decide consapevolmente di utilizzare la tecnica del camera look cinematografico (lo sguardo in camera) per creare una relazione diretta con lo spettatore al di là dello schermo ed in questo modo di sfondare quella barriera intima della relazionalità, che la dimensione virtuale rende ancora più straniante.

In Giappone, dove per secoli, anche il solo incontro prolungato degli sguardi tra differenti sessi rappresentava una pratica socialmente sconveniente, oggi questo esercizio allo sguardo è allenato grazie al proliferare di video tutorial (Eye Contact) che in modi diversi invitano lo spettatore a “tenere” lo sguardo fisso sull’altro. L’artista trae inoltre spunto da una tradizione di immaginari pornografici virtuali che destano scalpore non tanto per i loro contenuti espliciti, quanto per il fatto che essi nascano e vivano esclusivamente nel digitale. L’idea di trarre piacere attraverso una stimolazione artificiale rappresenta ancora oggi una forma di tabù perché ci mette di fronte ai limiti della corporeità.

Il video presenta un’atmosfera lenta e sospesa nel tempo, il suono incessante dell’acqua che sgorga dal water e pochi versi emessi dal protagonista fanno da legante alle scene e sono gli unici elementi a rimandare ad una dimensione espressamente fisica, dando vita ad un evidente slittamento percettivo. Ancora una volta ci si rifà ai rituali estetici emersi in internet, ripercorrendo una tradizione di video ASMR (acronimo di Autonomous Sensory Meridian Response), in cui attraverso pratiche visive o uditive si stimola la ricerca del meridiano sensoriale, una regione del corpo deputata a restituire una piacevole vibrazione.

Sono moltissimi i video di questo tipo presenti in rete, dal whispering (letteralmente, sussurro) allo sfregamento di oggetti, fino alla visualizzazione di luci e colori, tanto da rappresentare un vero e proprio fenomeno che assume connotati creativi ed estetici di volta in volta differenti. L’artista decide di riprendere l’atmosfera condensando i diversi elementi dell’opera in una dimensione di rilassamento, una pratica di benessere digitale che ha molto a che fare con l’idea stessa di “cura” collettiva attraverso l’esplorazione di gusti e rituali condivisi.

La fascinazione per queste pratiche comunitarie nate spontaneamente dalla condivisione in rete sembra incarnare proprio l’idea di relazioni simbiotiche così come le intende Donna Haraway, ossia come un intreccio di esperienze che vanno al di là di un punto di vista egemonico dell’umano per essere restituite nella loro complessità e novità. All’interno di questo scambio tra “specie compagne”, Haraway colloca sempre la tecnologia come il territorio privilegiato per l’ibridazione.

In maniera analoga il lavoro di Federica Di Pietrantonio abita il virtuale alla ricerca di nuovi possibili modi di essere, fondati sullo scambio, sull’appagamento e sulla coesistenza all’interno di uno spazio nuovo, sia esso fisico, digitale, mentale o in continuità tra questi mondi.

Daniela Cotimbo

Federica di Pietrantonio

but I wanna keep my head above water

July 22 - August 4 2022

Introduced by Gemma Fantacci

Daniela Cotimbo è una storica dell’arte e curatrice indipendente con sede a Roma. La sua ricerca è focalizzata sulle istanze problematiche del presente, indagate attraverso diversi mezzi espressivi, in particolare le nuove tecnologie. Di recente ha fondato e curato il Re:Humanism Art Prize dedicato al rapporto tra Arte e Intelligenza Artificiale, diventato poi un’associazione culturale di cui è presidente. Daniela ha curato mostre in diverse gallerie, musei e festival, tra cui il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, AlbumArte, Colli Independent, Operativa Arte Contemporanea e Romaeuropa Festival. Scrive per numerose riviste d’arte contemporanea, come Inside Art, Flash Art, NERO e ha curato o preso parte ad una serie di panel e speech per diverse istituzioni tra cui Galleria T293 (Roma), Cubo Unipol (Bologna), Manifattura Tabacchi (Firenze), Maker art (Roma), Accademia di Belle Arti di Brera (Milano), Università Ca’ Foscari (Venezia), Università John Cabot (Roma). Dal 2021 è co-fondatrice di Erinni, associazione che si occupa di pratiche artistiche transfemministe.